Top 5 del mese: 4 cose belle e una anche no – settembre 2016

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settembre 2016Ogni mese vi racconto le cose che mi hanno colpito: nel bene soprattutto, ma anche nel male. Il contrappasso del body shaming, un’illuminazione femminista, la parrucchiera di quartiere, Ave Ninchi e la schiscetta hanno segnato questo settembre 2016.

1° cosa bella – il contrappasso del body shaming

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Sembra, a guardare i media, che quest’estate si sia toccato il fondo con le ingiurie all’essere femmina: il body shaming contro Chloe Moretz (Io Donna)…

Le ginnaste olimpiche americane che stanno a bordo campo di gara come se fossero al centro commerciale (NBC Sports)…

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Katinka Hosszu, nuovo record del nuoto, che secondo un altro speaker di NBC Sports dovrebbe tutto al marito…

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Simone Biles definita dalla rivista People il Michael Jordan della ginnastica…

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Le nostre cicciotelle che sfiorano il miracolo olimpico (Il Resto Del Carlino)…

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Le otto giornaliste egiziane messe a riposo perché troppo cicciottelle…

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Le musulmane costrette a spogliarsi in pubblico dalla polizia francese…

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Sembra, a guardare la reazione dei social, che la conseguenza di questi attacchi sia una misura finalmente colmata: abbiamo cominciato ad indignarci sul serio e a rifiutare quei perfidi e castranti cliché determinati da antichi assetti sociali totalmente arbitrari e obsoleti.
Forse non tutti sanno che è infatti antropologicamente provato che gli uomini e le donne delle caverne vivevano in modo totalmente paritetico: non c’era un regime patriarcale, non c’era un regime matriarcale – ogni diritto e ogni dovere era equamente distribuito. Strano, ma vero!

<ora smetto con le citazioni dalla Settimana Enigmistica, lo giuro>

Poi qualcosa è cambiato con la nascita delle religioni organizzate, e dalla preistoria siamo passati alla storia che tutti conosciamo. E che sta cambiando di nuovo.

Io Donna è stato svergognato per l’idiozia totale che ha pubblicato, e boicottato per l’irresponsabilità del Direttore Responsabile: perché se un redattore scrive una cretinata, la colpa è comunque del direttore che la fa uscire; e se non l’ha vista non ha fatto il suo lavoro.
Con l’hashtag #iodonnaconglishorts, donne di tutte le taglie, età e stato di salute si sono fotografate e auto-messe alla berlina sui social- almeno secondo la logica di quella rivista femminile.

Si è scusato profusamente, ma rimane inscusabile, il Direttore che ha licenziato in tronco (dice, ma conoscendo i sindacati dei giornalisti direi che ne riparliamo tra un anno) chi ha ridotto a “tre cicciottelle” le tre ragazze che hanno dedicato anni della loro vita a una disciplina sportiva per poter eccellere e rappresentare l’Italia a Rio 2016.

Per ogni commento di un giornalista che ha sminuito le atlete olimpiche, si sono sollevati 1000 commenti paternalistici, anzi, maternalistici, di colleghe e colleghi che hanno fatto notare come NON si parla di sport quando ci sono delle donne a sudare in campo: non si parla del loro bikini, di quanto sia piacevole guardarle, di chi hanno sposato, delle loro unghie – si parla delle loro performance, come si fa con gli uomini. Qualcuno ha mai letto sulla Gazzetta dello Sport o su Sports Illustrated un articolo sullo Speedo birichino di Michael Phelps?

Simone Biles è talmente superiore (nel senso che usavamo noi da ragazzini: “quella è troppo superiore!!”), che a chi le ha chiesto se, insomma, era davvero la Michael Jordan della ginnastica, ha serenamente risposto: “I am the first Simone Biles”.
Perché il nuovo paradigma della ginnastica artistica femminile è una ginnasta 19enne di un 1,45m, non un cestista 53enne di 1,98m.

I sindaci della Costa Azzurra hanno capito che nessuno deve obbligare una donna a spogliarsi: non a togliersi il burkini, non a togliersi il bikini. E hanno fatto marcia indietro.

La mia modesta opinione è che il body shaming, grazie al contrappasso dello shaming del body shaming, si sia rivelato un mezzo per fare un salto morale importante.
Certo che è bello guardare una come Elle MacPherson, detta “the body” anche oggi che ha 52 anni. Ma perché è bello guardare una persona disinvolta nel corpo che le è venuto in dote o si è costruita secondo le sue inclinazioni.
Qualcuno se la sentirebbe veramente, oggi, di prendere in giro Ave Ninchi, la donna ciccia di cui l’uomo s’incapriccia?

Sì: paradossalmente il body shaming si è rivelato una efficacissima cosa bella, e proprio la prima che voglio citare questo mese. Perché quando si tocca il fondo della miseria morale si può solo risalire: ed è quello che stiamo facendo.

2° cosa bella – No Crista Santa

Ormai scherza sul fatto che è affezionata ai tailleur-pantaloni del tipo che in politichese nostrano viene detto “inchiavabile” (vedi la sua bio su Twitter), ma Hillary Clinton, pora stela, una volta si vestiva così…

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E sì, concedo che ora abbia anche lei un’età e le spalle scoperte non le porterebbe più in ogni caso (e poi, non è fica come Michelle Obama), ma ci siamo capiti: è una donna che ha dovuto comportarsi da uomo e annullare la sua femminilità per essere credibile.
Ciononostante, ancora non siamo sicuri che la prossima presidenza degli Stati Uniti sarà in mano a una persona capace e non a un pazzo da catena e cloroformio.

Svangato il body shaming, abbiamo bisogno di fare il successivo salto morale in avanti.
La consapevolezza che dobbiamo raggiungere, dice la scrittrice inglese Caitlin Moran, è che non sarà la venuta di una sorta di Gesù Crista perfetta ad elargirci le pari opportunità: perché non esiste una donna perfetta, come non esiste un uomo perfetto!
Quindi, finiamola di aspettarla immaginando che abbia l’acume di Hillary Clinton, il coraggio di Malala Yousafzai, l’eleganza di Audrey Hepburn, il sex appeal di Sofia Loren e le gambe di Elle MacPherson, perché la salvezza della civiltà possa passare da Lei, la Donna Crista Santa.
Le donne hanno il diritto di decidere come vestirsi, avere la stessa paga degli uomini, le stesse cariche, le stesse patenti di guida, ed essere contemporaneamente spettinate, puzzare di sudore, avere la pancetta e l’umore nero come i loro mariti, fratelli, padri, figli e colleghi senza perdere un briciolo di dignità o autorevolezza.
Questa è parità vera.

3° cosa bella – La Ginetta

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La Ginetta è la mia parrucchiera.
Non vado dalla classica Equipe Pierre BeauxChevaux, 400 metri quadri di specchi e LED dove, mentre aspetti il Maestro, ti danno la tisana di cetriolo e i cracker di quinoa, ti fanno un massaggio shiatsu al cuoio capelluto, e ti cercano 85 euro per averti spuntato la frangia.
No. Io vado dalla Ginetta, a occhio e croce 10mq in cui lavorano la Ginetta, la Cinzia e la Ragazza, dove mi chiamano cara e lo fanno genuinamente, dove al 90% della clientela si fanno testine arricciate strette e tinte violette, dal bar accanto arrivano cappuccini e brioche, e dove se vado per spuntare la frangia, e faccio per aprire il borsellino, mi spingono fuori dalla porta attraverso quelle tende a fettucce che avevano i salumieri di una volta, perché “cara, ha già pagato il taglio e la piega due mesi fa!” (28 euro, btw).

Non mi è mai piaciuto andare dal parrucchiere. Ci vado un paio di volte all’anno, tre se vanità mi punge, perché ho avuto troppi shock nella mia vita da tagli inappropriati, da sciampiste ingrugnate che strappano i capelli, e specialmente da una permanente da pecora in autentico stile 1982 (nel 1982).
Non mi fido di nessuno, anche perché a parte la Ginetta, tutti mi hanno sempre chiesto se questo è il mio colore naturale, e se non sei in grado di distinguere un capello tinto da uno non-tinto, come posso pensare che tu sia competente nel tuo mestiere?
(Per la cronaca: una volta sola ho aggeggiato con il mio colore: ho fatto dei colpi di sole in inverno per risbiondirmi. Schifata reazione maschile: “Che hai fatto? Sei gialla!” > Lezione imparata e archiviata)

Ma ADORO la Ginetta, proprio come “establishment”.
La Ginetta è una bella vedova di, boh?, 65 anni? Meno? Bionda e ridanciana, è sempre occupata in qualcosa di benefico, gira in Smart e ama fare le vacanze a Selva di Val Gardena (come me, ma non ci siamo mai incontrate: bisogna che ci mettiamo d’accordo per una merenda al Café Mozart).
Dirige il negozio, fa le pieghe e tira fuori il meglio dalla conversazione con le sue clienti come la migliore delle MC.
Non taglia i capelli, però; quello lo fa la Cinzia.
DIO BENEDICA E CI CONSERVI LA CINZIA.

La Cinzia mi ha appena tagliato i capelli
La Cinzia mi ha appena tagliato i capelli

Prova a dire a Pierre BeauxChevaux che vuoi che ti tolga solo le doppie punte, e vedi se non ti croppa via un palmo di lunghezza perché lui sì che sa cosa deve fare.
Prova a dire alla Cinzia che vuoi 17 millimetri di accorciatura dietro, 8 ai lati e 4 davanti, e vedi se sgarra di un micron.
La Cinzia fa quel vuole la cliente, precisissima. Se la cliente vuole un consiglio, glielo dà. E la cliente farà bene a seguirlo, perché la Cinzia sì che sa davvero quel che fa.
Fra l’altro, lo fa in 10 minuti.
Poi c’è la Ragazza, che risponde al telefono dicendo proprio: “Sono la Ragazza”. Lava i capelli, fa le pieghe, mi taglia la frangia anche quando arrivo a 5 minuti dalla chiusura, e lo fa anche molto bene (Ginetta, le dia più spazio: la Ragazza è matura per usare le forbici e avere un nome proprio!).

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La Ragazza, la Ginetta, la Cinzia e la sottoscritta

Amiche, rivalutate le parrucchiere di quartiere, quelle con la foto di una donna truccatissima e coiffatissima attaccata con lo scotch al vetro della porta, quelle che effluviano ammoniaca solo a passarci davanti, quelle che ti fanno tenere il phon in mano mentre ti sistemano i capelli nella spazzola tonda.
Dategli fiducia, divertitevi, create un rapporto speciale. Spenderete pure meno!

O arriverà il giorno che anche loro, come i salumieri dai supermercati, saranno tutte obliterate dai centri commerciali. Tenda a fettucce compresa.

4° cosa bella – Modalità: Ave Ninchi

tonno fatto in casa

Al giorno d’oggi bisogna essere dei cinefili o avere una certa età per sapere di chi fosse la succitata Ave Ninchi, grandissima caratterista cinematografica e teatrale.
Negli anni ’70 Ave Ninchi entrava regolarmente nelle nostre case con A tavola alle 7, condotto accanto a uno dei più grandi esperti e divulgatori gastronomici della storia italiana, Luigi Veronelli.
Nelle sue vestagline da nonna che odoravano di sapone di Marsiglia anche attraverso i nostri piccoli schermi in bianco nero, e con quegli inchiavabilissimi pochi capelli separati al centro e risucchiati indietro, era il simbolo nazionale della femmina cuciniera (pigghiatela pi’ mugliera).
Era anche stata scelta come testimonial di Aia (famoso il “pollo alla Ave Ninchi”), perché sapeva tutto di cucina: come si stende la sfoglia, come si lardella un arrosto, come si fa il bostrengo di Apecchio…

Ancora oggi, quando mi metto il grembiule con la determinazione di un kamikaze che si lega la fascetta bianca in fronte, lo faccio dicendomi in silenzio: “Ave Ninchi mode: ON!”.
Sul finire dell’estate i giorni spesi in questa modalità sono sempre più ravvicinati e intensi.
A partire da ferragosto con mio marito faccio la passata per tutto l’inverno (negli ultimi due anni con i pomodori del nostro orto!), ma a parte questa impresa a due, il resto delle conserve sono mio appannaggio esclusivo – e circolare, circolare, ché questa è la mia cucina.
Faccio le confetture con la frutta che raccolgo in campagna – se volete provarle, queste sono le ricette di quella di susine e quella di more – e la composta di fichi per accompagnare i formaggi; produco i sott’oli con le melanzane in surplus, “alla romana”, come le faceva mia zia Nina; e fallisco regolarmente il tentativo di fare i peperoncini piccanti ripieni di acciuga, tonno e capperi perché mi fermentano sempre – la prossima volta voglio provare a farli “destrutturati”, cioè tagliati a pezzi, per asciugarli meglio.
Questo mese ho aggiunto una nuova freccia al mio arco: il tonno!
Mi ha ispirato questo post di Casa Organizzata (un sito pieno di spunti e spuntini, che vi consiglio di guardare). Ho solo aggiunto pochissimo aceto bianco nell’acqua di cottura, e qualche aroma nel barattolo.
Moooolto orgogliosa del mio tonno.

È bizzarro, ma sentirmi Ave Ninchi mi rende più felice che sentirmi Elle MacPherson.
Oddio, in effetti non lo posso sapere… non mi è mai capitato di sentirmi Elle MacPherson.
Come si fa? Ci si mette a correre in spiaggia tenendo in mano un thermos?

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Una cosa che anche no – troppe galline

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Parlando di thermos.
Chi ha figli in età scolare sa che le simpaticissime chat di Whatsapp che sempre allietano le nostre vite dalle 7 del mattino alle 2 di notte (genitori che fate i turni di notte in ospedale o in altoforno: vi stimiamo; ma certi orari: anche no) sono in queste settimane in overdrive sul tema della mensa scolastica e sulla possibilità di emancipare la nostra progenie dagli sbobboni serviti nei refettori.
Una sentenza che riguarda UNA scuola di Torino, in cui ora è permesso portarsi la schiscetta, ha fatto crollare ogni certezza.
Fioccano le speculazioni.
È più sano un panino con il prosciutto cotto lasciato a fermentare nello zainetto dalle 8 alle 13, o la polpetta cucinata ieri in un centro comunale e arrivato oggi con un furgone?
È educativo fare figli e figliastri, avviare una competizione tra bambini con mamme brave che gli fanno la ciccina tagliata senza i nervetti e bambini con mamme che vai a scuola, mangia quel che ti danno e ciaone?
In Giappone le gare a chi ha la bento box più bella avvelenano le mense scolastiche e aziendali tra invidie e confronti e addirittura sabotaggi.
Una maestra con cui ho parlato di questa questione ha anticipato che le insegnanti non avranno pace, soprattutto con i più piccoli che piangeranno perché gli toccano le lenticchie nel piatto di plastica invece della pizza del fornaio. “Dovremo passare tutto il tempo a calmarli, a sedare liti perché lei non fa assaggiare la sua torta e lui la banana tigrata della scuola non la vuole proprio”.
Una mamma mi ha fatto notare che sono mozze che ci facciamo noi adulti, e che i bambini si sanno adattare molto meglio di quanto pensiamo noi – le differenze ci sono in ogni caso, dall’astuccio alle scarpe, fa parte della vita e ci mancherebbe altro.
Le polemiche intanto infuriano: una bambina di Milano è stata rimandata a casa col suo thermos di zuppa homemade, dei genitori che conosco personalmente minacciano di fare causa al preside che fa ostruzionismo.
Lungo tutto Stivale, vedo mamme che corrono per l’aia come galline dalla testa mozzata chiedendosi se finalmente potranno o se malauguratamente dovranno preparare i pasti dei loro figli ogni mattina.

Nella sua infinita saggezza, Ave Ninchi sì che saprebbe cosa fare: tutte quelle galline le cucinerebbe secondo la sua famosa ricetta, e le metterebbe nella schiscetta dei loro bambini.

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Top 5 del mese: 4 cose belle e una anche no – marzo 2018

"Voi date ben poco quando date dei vostri beni. È quando date voi stessi che date davvero" (Khalil Gibran). Questo mese vi consiglio dove dare e dove prendere (gratis, e con grande soddisfazione), come dare (gratis, e con grande soddisfazione) e come inventarsi un modo per scambiare (con spese di spedizione, ma con grande soddisfazione).